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L’unione fa la forza…o, comunque, fa (una bella) differenza

18/10/2022 Inserito da: Autore: Sara Carbone

La gente ha bisogno della gente

I.Yalom 

 

Il gruppo è una risorsa straordinaria. La nostra identità si alimenta delle relazioni personali di cui facciamo esperienza ogni giorno. Fin dalla nascita (frutto anch’essa di una relazione), siamo inseriti in una rete relazionale e le nostre prime esperienze di conoscenza del mondo si basano sull’interazione con chi si prende cura di noi: basti pensare al neonato, al suo comportamento di attaccamento verso la madre e a come ogni essere umano sia solitamente portato ad evitare, per tutta la vita, l’isolamento sociale, poiché sente che, oltre a essere fonte di sofferenza, un individuo solo è più vulnerabile in ogni situazione. Entrare in relazione è una capacità da sempre dimostratasi adattiva, nel quadro dell’evoluzione umana.

Nel corso della nostra esistenza, i luoghi di costruzione della nostra persona vanno via via arricchendosi: dal gruppo familiare passiamo ai gruppi del contesto educativo, interagiamo col gruppo dei pari, giochiamo via via ruoli con altre persone, costruiamo relazioni di amicizia, colleganza, intimità affettiva, coppia.

Inizialmente aderiamo ai gruppi per necessità o semplicemente sulla base delle circostanze in cui ci troviamo, piano piano diventiamo più selettivi e prendiamo parte a quelle unioni che si creano sulla base della condivisione di valori, visione del mondo e ideali che nel tempo hanno costituito i mattoncini del nostro essere. E, spesso, nei nuovi gruppi ci mettiamo in gioco a partire dalle modalità che abbiamo fatto nostre nei rispettivi contesti di apprendimento (Bateson, 1976). Per esempio, non è difficile immaginare che potremmo dare senso all’abbraccio di un amico o un’amica confrontandolo, ad un basso livello di consapevolezza, con gli abbracci ricevuti dai nostri genitori quando eravamo bambini, sentendoci per esempio amati e protetti, o a disagio se siamo stati poco abituati a questo genere di contatto fisico.

Ma ora ci preme mettere in evidenza come il gruppo sia il terreno più fertile che esista per promuovere un possibile cambiamento, ponendoci di fronte a prospettive altre e fornendo anche occasioni di rispecchiamento: il riuscire a riconoscere aspetti di noi grazie alla possibilità di percepirli nell’altro e nelle interazioni con lui. Del resto, anche quando un terapeuta lavora in terapia individuale, non può non prendere in considerazione la vita di una persona nella più ampia cornice delle sue relazioni interpersonali. E del resto, se ripercorro la mia vita, non riesco a evocare nessuna esperienza il cui sapore possa prescindere dalla preziosa spezia della relazione umana.

Le funzioni del gruppo: un microcosmo ricco di possibilità

Il gruppo può favorire l’apprendimento interpersonale (Yalom, 2005), attraverso le relazioni, l’intensità dell’esperienza emotiva che si crea nel qui e ora delle interazioni tra i membri del gruppo e il ricrearsi, appunto, di una piccola porzione della più ampia società con cui ci confrontiamo ogni giorno.

Secondo Yalom, psichiatra americano autore di uno dei testi più importanti sulla psicoterapia di gruppo, l’apprendimento interpersonale è un fattore terapeutico che può portare al cambiamento. Nello specifico, un gruppo terapeutico può permetterci di scoprire il modo in cui diamo un senso agli eventi quotidiani e le modalità con cui ci relazioniamo agli altri (ad es., quando ci rapportiamo con qualcuno, ci chiediamo: Posso fidarmi? Mi ferirà? Soddisferà i miei bisogni? O semplicemente: che tipo di persona è?). Tali modalità, o “schemi”, sono spesso basate più su quanto abbiamo sperimentato e appreso nei primi anni di vita, che sulla relazione che si gioca nel “qui e ora” con le persone che abbiamo di fronte.

Sullivan (1940) dice che “si acquista la salute mentale nella misura in cui si diventa consapevoli delle proprie relazioni interpersonali”. Ogni problema personale, ogni sofferenza individuale e ogni obiettivo di cambiamento declinato al singolare, non tardano ad essere tradotti in termini interpersonali nel lavoro in gruppo. E già questo, di per sé, può espandere le possibilità di azione di una persona.

C’è poi la straordinaria possibilità di sperimentare un’esperienza emotiva molto intensa nel gruppo, che è un fondamento (necessario, ma non sufficiente) dell’efficacia terapeutica.

Spesso, chi comincia a partecipare ad un gruppo, racconta di un’intensità emotiva raramente provata in altri momenti della vita che, laddove già esperita, non è stata mai utilmente impiegata per una maggiore comprensione di sé e dell’altro. Certo, l’esperienza emotiva è la base fondamentale, ma perché la persona possa utilizzarla in modo utile e benefico nella propria vita, è necessario che compagni di lavoro e terapeuta agevolino ogni partecipante nella riflessione, per favorire una riorganizzazione dei significati emersi, dare una lettura alternativa degli eventi, e permettersi di sentirsi più libero e padrone di sé.

Infine, il gruppo agisce ricreando un microcosmo sociale: secondo l’approccio costruttivista[1], ogni essere umano è considerato come un ricercatore (Bannister e Fransella, 1986), una sorta di scienziato i cui comportamenti non sono altro che esperimenti o ipotesi per apprendere qualcosa di più sul mondo e su se stesso. Ora, non è per forza necessario avere chiaro con quale domanda o ipotesi da testare ci si rivolge al gruppo, perché tanto si finirà col metterla in pratica nelle interazioni che si svilupperanno all’interno del gruppo stesso. Spesso finiremo, cioè, con l’approcciarci ai membri del gruppo replicando gli schemi relazionali che abbiamo creato nel tempo e tenderemo a catalogare i comportamenti degli altri secondo le aspettative relazionali che abbiamo costruito nel tempo. Niente di più utile per approfondire davvero la conoscenza di noi stessi: avremo la possibilità di approfittare dei sentimenti e dei comportamenti delle persone nel qui e ora del lavoro in gruppo, per poter comprendere e modificare quegli schemi che a volte finiscono col farci essere ostaggio di noi stessi.

Questa esperienza è quindi un laboratorio che presenta tutti gli strumenti per sperimentarsi in nuovi e diversi ruoli (ad es. siamo solo vittime? Solo carnefici? O magari questo e altro ancora?), accrescendo il numero di scelte che sentiamo di poter fare, percependoci maggiormente flessibili nell’adattarci al contesto e, quindi, maggiormente attrezzati per quel grande viaggio che è la vita.

Molte persone non sanno bene cosa aspettarsi, quando sentono parlare di gruppi o terapia di gruppo: un modo piacevole per farsi un’idea sufficientemente chiara è leggere il romanzo “La cura Schopenhauer”, di I. Yalom appunto, che narra le vicende di un terapeuta e del gruppo di terapia che conduce. Difficilmente non ritroverete delle parti di voi in uno dei personaggi del racconto. E probabilmente vi rimarrà come il ricordo di essere stati in quella stanza con loro.

Perché noi di Articolo3 amiamo il gruppo

Chi legge potrebbe aver ormai intuito il motivo per cui noi di Articolo3 amiamo il contesto di gruppo.

Sicuramente se pensiamo alla possibilità di avvicinare le persone ad un’opportunità di cambiamento, il gruppo costituisce un’eccezionale palestra per allenarsi e sperimentare punti di vista che possono portare a sentirci più capaci di affrontare le situazioni quotidiane. La semplice interazione in tempo reale con i compagni e i conduttori del gruppo offre materiale di prima mano per poter divenire consapevoli dei propri modelli relazionali e di come questi ci facciano sentire. Sarà un passo successivo decidere se provare a cambiare qualcosa sia la scelta migliore per sé. In tal senso, appartenere ad un gruppo e lavorare al suo interno costituisce un potente acceleratore d’esperienza.

Chi scrive ha inoltre fiducia negli effetti di un gruppo perché ne ha beneficiato in prima persona: abbiamo apprezzato la possibilità di formarci come professionisti in un contesto gruppale, sperimentando su noi stessi l’intensa risonanza emotiva e la forza che un gruppo ben governato può dare al singolo individuo.

Ci sono poi altre considerazioni legate al momento attuale che ci portano a percepire tale modalità come particolarmente utile. La pandemia ha messo a dura prova le nostre vite e il bisogno di supporto psicologico sembra essere sensibilmente aumentato, soprattutto tra le persone che vivono sole. Siamo stati sottoposti a molte situazioni nuove e difficili da comprendere, andando incontro a grossi carichi di ansia, individuale e collettiva. Numerosi sono stati i lutti e spesso compromesse le possibilità di elaborarli con la dovuta serenità. Ci siamo trovati a fare i conti con un sentimento nuovo e destabilizzante per noi: quello di vedere in chi ci sta accanto una minaccia per la nostra salute o sopravvivenza e di sentire di essere a nostra volta potenziali minacce per la vita altrui. Tutto questo raramente ha trovato un tempo e un luogo per poter essere elaborato e non rimanere in circolo dentro di noi.

La pandemia prima, con le sue ricadute economiche, una guerra così vicina e le conseguenze del cambiamento climatico, ci hanno fatto sentire non solo impreparati di fronte a un mondo in rapida evoluzione, ma anche minacciati rispetto a dei bisogni fondamentali, come potersi nutrire o stare al caldo nei mesi invernali.

Ecco allora che in molti di noi emerge il bisogno, forse non di una terapia, ma di dare senso a quello che abbiamo passato e rimettere un po’ in ordine tutti i pensieri che ci hanno attraversato. E un percorso di gruppo, grazie alla concentrazione di esperienze e processi che si sviluppano al suo interno, può permettere di vivere numerose opportunità di cambiamento.

Crediamo che il gruppo possa costituire per i partecipanti un prezioso contesto per ricostruire una socialità basata sulla fiducia reciproca e di sviluppare nuovi strumenti per comprendere questo momento storico-sociale. Dopotutto Bannister e Fransella (1986) ricordano che “i problemi personali vengono spesso considerati come difficoltà nelle relazioni sociali, e quindi sembra logico pensare che dovrebbero essere superati in un ambiente sociale”.

È sulla scorta di tali riflessioni e convinzioni che abbiamo progettato un percorso di gruppo in 8 incontri, anche per rispondere a chi sente l’esigenza di un lavoro psicologico, con un contenuto investimento economico.

Finalmente, siamo felici di poter offrire un percorso di gruppo tra i servizi di Articolo3.

Tutte le informazioni sono disponibili qui.

Riferimenti bibliografici

  1. Bannister, D., Fransella F. (1986). L’uomo ricercatore. Introduzione alla psi­cologia dei costrutti personali. Firenze, Italy: Psycho di G. Martinelli.
  2. Bateson, G. (1976). Verso un’ecologia della mente. Milano: Adelphi. (Original work published 1972).
  3. Sullivan, H. S. (1947). Conceptions of modern psychiatry. William Alanson White Psychiatric F.
  4. Yalom, I. (2005). Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo. Bollati Boringhieri, Torino.

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[1] Costruttivismo: In psicologia il costruttivismo è un approccio che concepisce la conoscenza come costruzione personale dell’esperienza, anziché come rispecchiamento o rappresentazione di una realtà indipendente […]. Secondo il costruttivismo viene cioè messa in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, in quanto sapere totale che rappresenti, in modo fedele, un ordine esterno indipendente dall’osservatore. Secondo questo approccio il sapere è considerato qualcosa che non può essere ricevuto in modo passivo dal soggetto (come affezione del mondo esterno) , ma che risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà. La realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare esperienza” di essa. Fare esperienza di un evento significa dare un significato mediante un costrutto bipolare, ovvero costruire somiglianze e differenze: tre persone potrebbero considerare lo stesso film noioso (invece che interessante), leggero e superficiale (invece che introspettivo), scontato (come opposto di acuto). Tutte e tre potrebbero considerare il film un brutto film, ma per ragioni soggettivamente molto diverse.