Lutto durante la pandemia di Covid-19: quali implicazioni per chi ha perso un proprio caro?
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Lutto durante la pandemia di Covid-19: quali implicazioni per chi ha perso un proprio caro?

31/01/2023 Inserito da: Autore: Monica Venturi

Vivere un lutto può prendere le forme di uno spartiacque nella vita tra ciò che era prima e ciò che sarà dopo. Un compagno di viaggio ci lascia e noi siamo costretti a continuare il cammino senza quella presenza che davamo quasi per scontata e che da questo momento non potremo più vedere accanto a noi, ascoltare o accarezzare.

Dal 2019 stiamo facendo i conti con un nuovo virus, noto a tutti con il nome Covid-19, che ha scosso le fondamenta di un mondo tecnologicamente avanzato come il nostro, facendo vacillare la sicurezza e le certezze che la scienza nei secoli sembrava poter assicurare alle nostre vite. Coloro che hanno perduto persone care a causa di questo virus, possono trovarsi ad affrontare un lutto definito complicato.

In generale possiamo immaginare il lutto come un processo più o meno lungo in cui la persona muta e cambia il proprio modo di leggere e vivere l’esperienza della perdita. 

È una caratteristica umana quella di cercare un significato per gli eventi della vita, e il lutto spesso ci priva di un senso, di un ruolo attraverso il quale entravamo in relazione con il defunto (ad esempio il ruolo di figlio, di fratello o genitore). Così, nel tempo, dovremo iniziare a riformulare una nuova narrazione di noi stessi che ci consenta di ritrovare un senso, un posto nella vita. Un lutto, però, non sempre segue un processo lineare, infatti esistono i cosiddetti lutti complicati, largamente correlati a morti tragiche o improvvise, cariche di sofferenza e di imprevedibilità (Neimeyer, 2016). È proprio a questa categoria di lutti complicati che possiamo assimilare i lutti per coronavirus: morti spesso repentine, non prevedibili, lontane dalle figure di riferimento e private di riti funebri canonici. Ricerche recenti mostrano infatti che il lutto per morte causata da coronavirus appare più severo e prolungato rispetto al lutto per morte dovuta a cause naturali (Breen et. al, 2021).

Sono venuti a crearsi elementi e significati completamente nuovi che accompagnano il processo del lutto: pensiamo alla lontananza negli ultimi istanti di vita del caro morente, il conseguente senso di abbandono e di impotenza, così come il senso di colpa tipico “dell’untore”, colui che porta il virus e si sente responsabile della morte del familiare, o ancora la solitudine nella propria sofferenza, perché isolati dal resto della comunità, senza quei riti millenari che aiutano i sopravvissuti a dare un degno e adeguato saluto al defunto (La Rosa, C. & Onofri, A., 2015).

Accade così che, di fronte alla morte durante la pandemia, siano venuti ad essere negati alcuni bisogni fondamentali per gli individui, tra i quali la necessità di salutare per l’ultima volta una persona amata, confortarla, semplicemente esserci. La distanza fisica e spesso anche comunicativa cambia l’esperienza del morire che conosciamo (Lee & Neimeyer, 2022).

Un po’ come nella peste descritta dal Manzoni, in cui si puntava il dito contro gli untori, ora si assiste al senso di colpa del sopravvissuto di essere possibile veicolo di morte per il proprio caro (Salonia, 2020). Il pensiero di essere un possibile vettore che ha portato il virus nel corpo di un caro può paralizzare. Il senso di responsabilità può assumere una doppia faccia: responsabilità come protezione che è venuta a mancare e responsabilità come colpevolezza, temendo di essere un possibile “responsabile”

La novità del coronavirus è rivelarci che il vero pericolo in questa pandemia non è solo il coronavirus, ma siamo noi perché́ possiamo diventare portatori di morte (Salonia, 2020, p.24).  

Inoltre, chi ha perso un caro durante la pandemia può provare un forte sentimento di rabbia verso quelle regole che lo allontanano dalla persona amata nel momento in cui ne avrebbe più bisogno. Può essere esperito un pungente senso di abbandono da parte dei superstiti, che non fanno altro che sentire di non aver fatto abbastanza, di aver perso per sempre gli ultimi momenti della persona a cui sono legati e di non avergli augurato “buon viaggio”. Ai superstiti manca una fetta di vita dei loro cari, non sanno cosa sia accaduto nelle giornate trascorse in ospedale: cosa ha fatto, cos’ha pensato la loro madre, il loro padre, il loro nonno in quegli ultimi momenti? Soffriva? Ha capito che stava per morire?

Un’altra differenza importante che ha caratterizzato questi lutti, specialmente durante il primo anno di pandemia, risiede nel saluto individuale e collettivo a coloro che ci hanno lasciato. Solitamente troviamo, da una parte un primo tipo di saluto, personale, che i cari porgono al defunto durante la veglia del corpo, vedendolo per l’ultima volta. Dall’altra il rito del funerale, tanto diverso per ogni cultura, ma sempre presente fin dall’antichità, che consente a quanti hanno conosciuto la persona che è venuta a mancare di onorarla e ricordarla insieme, come gruppo. I riti funebri prevedono azioni simboliche riconosciute e diffuse, che permettono di esprimere sentimenti, condividere credenze e servono ai superstiti per affrontare la realtà della perdita e poter iniziare il processo del lutto (Oliveira-Cardoso et al., 2020).

Per salutare in maniera individuale il proprio caro la vista assume un ruolo importante nel rendere reale un evento come la morte. In maniera diversa, ma per certi versi simile, i morti per coronavirus hanno assunto le vesti dei dispersi in guerra (Salonia, 2020). Non vengono visti. Neppure il vestimento del corpo è concesso. 

Dall’altra parte il saluto collettivo che avviene durante il rito funebre, può essere posticipato a date future incerte, o svolto in presenza di pochissimi familiari. Anche l’organizzazione può assumere forme differenti, virtuali quando i parenti stessi sono in isolamento. Durante questi riti, una parte fondamentale risiede nei ricordi condivisi con il defunto, renderlo vivo nella memoria e nel fondamentale contatto umano e supporto reciproco che ci si infonde a vicenda. Questi aspetti, venendo a mancare, stravolgono le nostre abitudini create nel tempo per aiutarci a significare un trapasso e accettarlo.

Di fronte a questa tipologia di lutti, può diventare d’aiuto la presenza accogliente di un professionista che possa aiutarci a elaborare e dare un senso alla struggente perdita vissuta. Avere uno spazio e un tempo per parlare del nostro lutto in un ambiente protetto come quello della psicoterapia, ricevendo un ascolto profondo e non giudicante, può aiutare a rivedere e rileggere i passaggi più dolorosi e aprire la possibilità di riscrivere un legame nuovo e diverso con il defunto.

Il ruolo di testimone di una morte pandemica potrebbe diventare utile per ritrovare un senso in un periodo di incertezza. Cosa vorrei lasciare in eredità agli altri della mia perdita? La risposta genera creatività, idee e progetti. Ogni forma artistica può essere veicolo di testimonianza, Shakespeare suggeriva nella tragedia Macbeth “Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza”. Testimoniare le storie di chi se n’è andato per coronavirus, può far sì che le persone, da desolanti numeri trasmessi alla televisione, possano riappropriarsi di nomi, affetto, amore e vita. La grande sfida che questo tempo di pandemia ci invita a raccogliere è forse quella di ricordare (letteralmente “riportare al cuore”, che nell’antichità era ritenuto la sede della memoria). Penso alla tecnica del “Kintsugi”, arte giapponese della ricostruzione di vasi ormai rotti tramite l’unione dei frammenti grazie all’oro fuso: scegliendo il più prezioso dei materiali, i “nuovi” vasi acquistano un aspetto ancor più bello e affascinante. I lunghi fiumi dorati che li costellano assomigliano a profonde cicatrici, che non vengono nascoste o camuffate, vengono invece mostrate. Sul corpo, le cicatrici invisibili del lutto diventano i ricordi dei baci donati alla persona amata, delle carezze, degli abbracci avvolgenti, degli sguardi e delle parole che ci hanno fatto crescere. La forza della memoria è racchiusa dentro di noi.

Dott.ssa Monica Venturi

 

Bibliografia:

Breen, L. J., Lee, S. A., & Neimeyer, R. A. (2021). Psychological risk factors of functional impairment after COVID-19 deaths. Journal of Pain and Symptom Management, 61(4), e1-e4. doi:10.1016/j.jpainsymman.2021.01.006 

La Rosa, C. & Onofri, A., (2015). Il Lutto. Psicoterapia cognitivo evoluzionista e EMDR. Roma: Giovanni Fioriti Editore.

Lee, S. A., & Neimeyer, R. A. (2022). Pandemic Grief Scale: A screening tool for dysfunctional grief due to a COVID-19 loss. Death Studies, 46(1), 14-24. doi: 10.1080/07481187.2020.1853885 

Neimeyer, R. A. (2016). Helping clients find meaning in grief and loss. In M. Cooper & W. Dryden (Eds.), The handbook of pluralistic counseling and psychotherapy (pp. 211-222) Thousand Oaks: Sage Publications Ltd.

Oliveira-Cardoso, E. A., Silva, B. C. A., Santos, J. H., Lotério, L. S., Accoroni, A. G., & Santos, M. A. (2020) The effect of suppressing funeral rituals during the COVID-19 pandemic on bereaved families. Rev. Latino-Am. Enfermagem 28, e3361. doi: 10.1590/1518-8345.4519.3361

Salonia, G. (2020). Abitare i Corpi Abbracciare la Terra. Roma: Istituto Gestalt Therapy Kairos Editore