
“Mens sana in corpore sano?”
Capita, non infrequentemente, che le persone chiedano aiuto ad uno psicoterapeuta per porre rimedio a problematiche che si presentano come “fisiche”, che si esprimono cioè a livello corporeo, come gastriti, stanchezza cronica, mal di testa, cervicali, difficoltà di erezione, vaginismo…
Di solito ciò accade dopo aver consultato medici specialisti, i quali, dopo aver prescritto svariati esami clinici, giungono a constatare che non vi sono tracce di cause organiche e che, dunque, il “problema” potrebbe essere di natura psicologica.
Di questo genere di problemi si occupa la psicosomatica, quella branca della medicina che tenta di comprendere ed occuparsi di quei disturbi a cui la medicina stessa non riesce a dare adeguate risposte in termini esplicativi e, quindi, terapeutici, con il solo apporto delle scienze che solitamente contribuiscono alla costruzione delle sue conoscenze (biologia, fisiologia, chimica ecc…). Fa questo cercando di ricostruire nessi causali tra aspetti mentali (di pertinenza della psicologia) e biologici, non senza difficoltà, avendo a che fare con discipline che partono da visioni spesso molto differenti e difficilmente conciliabili.
Trovo di grande interesse l’ambito di studio della psicosomatica, in quanto mette in luce come, talvolta, le nostre teorie scientifiche abbiano dei limiti rispetto al campo di pertinenza dei fenomeni che possono spiegare. Niente di più naturale, sia chiaro, ma noi essere umani riponiamo spesso nella scienza una fiducia quasi “cieca”, come se potesse darci delle verità ultime, delle certezze.
Ma la scienza, più che costruire verità, dà forma a teorie che ci permettono di conoscere i fenomeni osservati, seguendo una vocazione pragmatica: le teorie che vengono elaborate sono utilizzate fintanto che si dimostrano utili a spiegare adeguatamente dei fenomeni, ma vengono sostituite, integrate e riviste nel momento in cui mostrano i loro limiti.
Storicamente la filosofia e la scienza del mondo occidentale hanno operato una distinzione tra mente e corpo: le scienze naturali e la medicina si sono occupate di studiare l’organismo, le scienze umane o sociali la mente e le relazioni tra essere umani e gruppi/comunità (Galimberti, 2013).
La medicina occidentale definisce il corpo come un sistema di organi interagenti tra loro, il cui funzionamento viene descritto in termini biologici e fisiologici. In tale ambito il medico non si interessa, per esempio, dell’esperienza soggettiva del dolore, o lo fa solo parzialmente con lo scopo di identificare i segni di una patologia, di un’eventuale disfunzione organica o dell’organismo, comune a tutti gli essere umani e quindi ritenuto oggettivo.
Ma è sempre utile adottare una prospettiva oggettivante per comprendere ciò che ci accade, dare un nome a quello che proviamo e perseguire il nostro benessere?
I fenomeni studiati dalla psicosomatica mettono in luce la limitatezza delle teorie scientifiche mediche, che, ritengo, non possono occuparsi del benessere dell’essere umano tout court.
In assenza di evidenze mediche, come si spiega un mal di testa in alcune condizioni? O una difficoltà di erezione che si presenta con una donna ma non con un’altra? Com’è possibile che se l’organo sessuale non presenta alcun malfunzionamento da un punto di vista fisiologico, “funzioni” in alcuni frangenti e in altri no?
Una divisione tra organismo e mente non sembra esserci d’aiuto nello spiegare simili fenomeni.
La prospettiva costruttivista [1] ci suggerisce di considerare come punto focale, nella comprensione dell’essere umano, la sua esperienza soggettiva, ovvero il personale sguardo con cui esso dà senso a ciò che gli accade.
Ora, l’esperienza può essere guardata da vari punti di vista (corporeo o mentale), ma rimane puntuale, unitaria, dal punto di vista di chi la prova: quando affermo che mi sento nauseato da qualcosa per cui provo disgusto, per esempio dalle immagini della devastazione di una guerra, sto dicendo che sono disgustato (emozione) ma anche che provo nausea (sensazione corporea); in nessun modo, nella mia esperienza, posso separare questi due elementi: l’uno contribuisce a definire l’altro.
Galimberti (2013), uno dei più importanti filosofi del nostro secolo, propone di recuperare la dimensione del “corpo vissuto”, di cui facciamo esperienza quotidianamente e attraverso cui conosciamo il nostro mondo anche in termini psicologici: un neonato, per esempio, inizialmente non distingue tra interno ed esterno, io e altro; è attraverso le carezze della madre e del padre che impara a delimitare il proprio corpo e definire un dentro e un fuori, un me e un altro-da-me. Queste sono coordinate psicologiche fondamentali e comuni a tutti noi, ma nascono da ciò che chiamiamo corpo e non ne possono essere separate se vogliamo comprendere l’esperienza soggettiva delle persone e il loro funzionamento.
Che ricaduta ha tutto ciò per il lavoro dello psicoterapeuta?
Se prendiamo in esame, per esempio, una persona che lamenta problemi di erezione, dovremmo, prima di tutto, appurare che non ci siano problematiche di tipo organico che possano inficiare il corretto funzionamento dell’organismo. Ma se non vi sono evidenze in questo senso, non saremo interessati ad indagare il disturbo dell’erezione in sè, ma piuttosto le ricadute da un punto di vista identitario e relazionale che questo ha sulla vita della persona, il significato che essa attribuisce alla situazione vissuta con difficoltà, significato di cui la persona di solito non è consapevole, ma che è ben rappresentato ed espresso attraverso il linguaggio corporeo. Potremmo, per esempio, aiutare la persona a pensare ed interrogarsi su quale sia la sua esperienza soggettiva in merito, sulle variazioni di tale esperienza, sulle situazioni in cui essa è più frequente e in cui lo è meno, sulle spiegazioni che la persona può dare di tali variazioni.
Piuttosto che analizzare separatamente corpo e mente, potremmo chiederci come la persona vive una specifica situazione, tenendo bene a mente che essa farà quanto di meglio ritiene essere nelle proprie possibilità, in base alla propria storia di esperienze personali, nell’ambito dei vincoli e delle possibilità che la sua vita gli ha permesso di costruire e che, dunque, ritiene di potersi concedere.
Riprendendo il precedente esempio, supponiamo che una persona guardi al rapporto sessuale come ad una performance da cui dipende la possibilità di definirsi o meno come uomo virile e che questo sia per lei un aspetto fondante la sua identità; supponiamo anche che guardi alla propria partner come al giudice che emetterà un verdetto in merito. Difficilmente potrà rilassarsi, godersi il momento, eccitarsi; sarà forse maggiormente impegnata a monitorare se riceve o meno l’approvazione della partner…ma, converrete, sentirsi come in un tribunale, non è propriamente eccitante!
Forse potremmo aiutare la persona a rendere questi significati espliciti e consapevoli, provando poi ad immaginare possibili alternative più utili per vivere l’incontro con l’altro in modo più accogliente ed…appagante. Potremmo chiederci: quali significati attribuisce questa persona al fare l’amore? Quali significati ha appreso in famiglia, dai racconti o dalle relazioni che ha vissuto? In che misura questo aspetto concorre a formare l’idea che questa persona ha di se stessa e del mondo? Che rapporto ha con il piacere? Quali esperimenti le è possibile concedersi, in questo momento della sua vita, nell’incontro amoroso?
Concludendo, credo che queste poche righe non possano essere esaustive, ma che anzi aprano a molte possibili domande e questioni rilevanti per la nostra vita.
Mi premeva tuttavia proporre uno sguardo alternativo, che potesse anche restituire speranza a chi sta attraversando delle difficoltà legate a dolori o sintomi corporei a cui non riesce a trovare adeguata risposta dalle discipline mediche.
La psicoterapia può essere un valido supporto.
Uno psicoterapeuta potrebbe aiutarvi a capire quale sia la strada migliore da percorrere per voi.
…corpus sanum si mens sana?
Matteo Olivo
Bibliografia
Galimberti, U., (2003). Il corpo. Milano: Feltrinelli
Kelly, G. (1955). The Psychology of Personal Constructs, Vols 1 e 2. London: Routledge (1991 reprint).
Note
[1] Costruttivismo: In psicologia e psicologia clinica il costruttivismo è un approccio derivante da una concezione della conoscenza come costruzione dell’esperienza personale anziché come rispecchiamento o rappresentazione di una realtà indipendente[…]. Nell’ambito della matrice epistemologica costruttivista, viene messa in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, in quanto sapere totale che rappresenti, in modo fedele, un ordine esterno indipendente dall’osservatore. Il costruttivismo considera il sapere come qualcosa che non può essere ricevuto in modo passivo (come affezione del mondo esterno) dal soggetto, ma che risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà. La realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare esperienza” di essa. (Wikipedia).
Fare esperienza di un evento significa dare un significato mediante un costrutto bipolare, ovvero costruire somiglianze e differenze: tre persone potrebbero considerare lo stesso film noioso (piuttosto che interessante), leggero e superficiale (piuttosto che introspettivo ), scontato (piuttosto che acuto). Tutte e tre potrebbero considerare il film un brutto film, ma per ragioni soggettivamente molto diverse.