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Le competenze socio–emotive: cosa sono e il punto di vista costruttivista

23/05/2023 Inserito da: Autore: Sara Carbone

Quando gli occhi dicono una cosa e la bocca un’altra,

l’uomo avveduto si fida del linguaggio dei primi.

R.W. Emerson

 

Competenze socio emotive: di cosa stiamo parlando?

Si sente spesso parlare in ambito scolastico e più in generale formativo, di competenze socio-emotive o di apprendimento socio-emotivo (SEL: Social Emotional Learning).

Se facessimo una ricerca sui primi progetti che mettono a fuoco l’importanza delle competenze relazionali, interpersonali o socio-emotive, risaliremmo ad alcune formulazioni degli anni ’80 ma, a ben vedere, l’idea che sia fondamentale prendersi cura del “cuore” e non solo della “mente” degli esseri umani affonda le proprie radici nella civiltà dell’antica Grecia, ad opera di qualche pensatore che potreste aver già sentito nominare, come Aristotele o Platone.

In effetti, per chi è stato allevato a colpi di cultura classica, imbattersi nei moderni principi e metodi dell’educazione socio emotiva dà una sensazione simile a quella che si potrebbe provare incontrando per strada un vecchio compagno di scuola: vi si ritrovano, infatti, i fondamenti della cultura antica sull’istruzione che un essere umano dovrebbe acquisire, ri-narrati in termini un tantino più moderni e molto più operativi.

Nel 1994 prendeva piede l’espressione “apprendimento socio emotivo”: fu creata l’organizzazione CASEL (Collaborative to Advance Social and Emotional Learning) e si tenne la prima conferenza sul tema con ricercatori, educatori e professionisti impegnati a vario titolo nella tutela dei bambini.

Nel 1995 la pubblicazione di “Intelligenza emotiva”, dello psicologo americano Daniel Goleman, contribuì ulteriormente a sdoganare presso la cultura popolare il tema delle competenze emotive, esplicitando il concetto che fossero qualcosa che si può allenare o migliorare, ed ebbe anche l’effetto di facilitare la connessione tra diversi professionisti che, in diverse parti del mondo e da differenti prospettive (educazione, psicologia, neuroscienze), si dedicavano allo studio delle emozioni.

Ecco come l’organizzazione CASEL definisce l’apprendimento socio-emotivo:

“(…) L’ educazione sociale ed emotiva è il processo attraverso il quale tutti i giovani e gli adulti acquisiscono e applicano le conoscenze, le competenze e le attitudini per sviluppare identità sane, gestire le emozioni e raggiungere obiettivi personali e collettivi, provare e mostrare empatia per gli altri, stabilire e mantenere relazioni di sostegno e prendere decisioni responsabili e attente”.

Così inteso, l’apprendimento sociale ed emotivo (SEL) è parte integrante dell’educazione e dello sviluppo umano e può essere promosso dall’età prescolare all’età adulta. In particolare sono 5 le aree di competenza affrontate:

  • Consapevolezza di sé: la capacità di comprendere le proprie emozioni, i propri pensieri, valori e in che misura questi influenzano il nostro comportamento nei diversi contesti.
  • Auto-gestione: la capacità di comprendere in maniera efficace emozioni, pensieri e comportamenti in situazioni diverse, di raggiungere obiettivi e nutrire le proprie aspirazioni.
  • Consapevolezza sociale: la capacità di comprendere ed empatizzare con prospettive altrui, compresi coloro che provengono da ambienti, culture e contesti diversi.
  • Competenze relazionali: la capacità di stabilire e mantenere relazioni sane e supportive e di interagire efficacemente con individui e gruppi diversi.
  • Decisioni prese in maniera responsabile: la capacità di fare scelte attente e costruttive a livello personale e nelle interazioni sociali, in situazioni diverse.

Non è questa la sede per una trattazione più approfondita, tuttavia ci preme mettere in luce come molte delle competenze elencate siano certamente simili agli obiettivi di crescita personale che, in ambito formativo e secondo la prospettiva costruttivista che adottiamo, ci poniamo per un percorso di gruppo: una più approfondita conoscenza di sé e del modo in cui interpretiamo gli eventi e operiamo le nostre scelte, la scoperta dei valori che ci guidano, di ciò che ci porta a provare emozioni intense e di come questo si leghi alle nostre azioni e alla domanda relazionale che, più o meno consapevolmente, insieme ai nostri bisogni, portiamo nella relaziono con l’altro. Ma ci sono alcune differenze di fondo che desideriamo chiarire.

Dilatazione del campo: un’alternativa allo skills training classicamente inteso

Adottando il paradigma costruttivista, una prima domanda che potremmo porci è: quale potrebbe essere il polo di contrasto (Kelly, 1955) dell’essere socio-emotivamente competenti? Secondo il costruttivismo infatti, ogni costrutto, che è un’unità di significato, ha natura bipolare, e la relazione tra i due poli è di contrasto, cioè un polo è l’opposto dell’altro (per es. timido – estroverso, forte – debole, accogliente – distaccato). Se stabiliamo che ci sia un unico modo giusto di esercitare una competenza, quando non osserveremo quel modo saremo portati a concludere che la tal persona sia mancante di quella competenza.

Ma siamo sicuri di poter leggere la “mancata osservazione di determinate competenze” come incompetenza?

Forse le cose potrebbero cambiare se considerassimo che ogni persona è competente a modo proprio, cioè nella misura in cui il proprio sistema di costrutti, che è l’insieme di significati con cui interpreta il mondo, gli/le permette di esserlo. Ancora meglio, come suggerisce Trower (1984), forse una persona che adotta comportamenti che appaiono caratterizzati da mancanza di competenze socio-emotive sta in realtà compiendo una scelta attiva e adattiva, la scelta migliore per sé tra le alternative che riesce a immaginare, a seconda delle proprie ipotesi sul mondo e della propria interpretazione dell’evento specifico che si trova a vivere.

Certo, questo non significa che non si possa lavorare per supportare, per ogni singola persona, lo sviluppo di un maggior numero di possibilità da “giocarsi” nella relazione con se stessa e con gli altri, ma richiede di fare i conti con due aspetti, a volte tralasciati nella progettazione di un percorso formativo:

  • Non possiamo supporre che esistano persone emotivamente incompetenti
  • È necessario prendersi la briga di conoscere il modo in cui una persona dà senso al mondo, per poterla affiancare nel cambiamento e nella costruzione delle sue competenze.

Sostanzialmente dobbiamo accettare che ogni essere umano compie le scelte più convenienti per sé, in base a cosa anticipa di poter perdere o guadagnare in quella determinata “impresa emotiva”. Se per esempio guardassimo all’introversione come ad una scelta che viene fatta a protezione di aspetti di sé, anziché categorizzarla come un’incapacità di espressione di sé, potremmo scoprire come essa possa essere funzionale, al potersi sentire sufficientemente competenti in una determinata situazione.

Allora, nel rispetto di tali premesse, un percorso che mira a dare l’opportunità di ampliare le scelte possibili nella relazione, sarà per prima cosa un viaggio dentro se stessi, perché lo sviluppo di nuove competenze non può che scaturire da un’indagine che si rivelerà unica e singolare per ogni essere umano, pur comportando, prevedibilmente, un certo grado di “comunanza” con gli altri.

Il formatore costruttivista, allora, sceglie non tanto di impartire lezioni su un set predefinito di “skills”, ma piuttosto di creare le condizioni affinché i partecipanti possano vivere esperienze che permettano loro porsi interrogativi quali:

  • Come do senso al mondo?
  • Su che base opero le mie scelte?
  • Cosa mi fa sentire in difficoltà, messo all’angolo?
  • Che strategie adotto per affrontare quelli che, ai miei occhi, si presentano come problemi?
  • Quali sono i miei intimi bisogni? Le domande che, anche senza rendermene conto, porto nella relazione con l’altro? Le risorse che attivo?
  • Come vengo percepito dall’altro, quando sono in relazione?
  • In che modo gli altri/le circostanze che vivo possono essere una risorsa, per me?

Possedere risposte personali e il più possibile accurate a tali domande potrebbe farmi percepire come maggiormente competente, più padrone di me stesso nel vivere la mia emotività, in relazione anche all’altro.

Ad esempio, prima di chiedersi se una persona ha “la capacità di stabilire e mantenere relazioni sane”, potrà essere profondamente utile poter riflettere sui significati che la portano a definire “sana” una relazione. Allo stesso modo può risultare più efficace lavorare sulla propria ansia dopo aver acquisito una buona consapevolezza soggettiva del proprio modo di maneggiare gli eventi della vita o testare la propria empatia dopo aver sviluppato una costruzione quanto più possibile accurata della propria visione del mondo, della costruzione dell’altro, dei suoi bisogni, delle sue paure.

Gli elementi di un percorso sufficientemente buono secondo il costruttivismo

Ecco quindi che, secondo una prospettiva costruttivista, per co-costruire un percorso di gruppo sulle competenze relazionali ed emotive sufficientemente buono dovremmo ricercare, nei formatori quanto nei partecipanti, le stesse qualità umane che un terapeuta dovrebbe mettere in gioco nell’impresa della terapia:

Audacia/coraggio: secondo il costruttivismo, un terapeuta deve giocare una relazione di ruolo con il proprio paziente, cioè essere in grado di mettere in gioco sia i suoi costrutti personali che quelli sviluppati nel suo percorso di formazione professionale. Tale modalità di relazione è la base per poter affrontare gli imprevisti con una buona base di accettazione dell’”errore”, cioè del fattore umano. Alla base di tale atteggiamento sta la possibilità di agire socialità verso i membri del gruppo, cioè di potersi mettere nei panni dell’altro, interpretare le cose secondo i suoi significati personali e promuoverla attivamente tra loro (si veda sotto).

Creatività: una delle posizioni epistemologiche fondamentali del costruttivismo è l’alternativismo costruttivo, che afferma che, nell’ipotizzare diverse possibilità nella loro vita, le persone sono limitate solo dalla loro immaginazione. Quindi alcuni approcci alle situazioni presenteranno degli specifici vantaggi per la vita di alcune persone e non di altre. Le strategie generali spesso presentate per affrontare la quotidianità e le sfide emotive possono andare bene per molti, ma non per tutti, per cui è necessario che i formatori siano disponibili a costruire contesti di apprendimento sufficientemente aperti e flessibili, per consentire ad ognuno di trarne il massimo vantaggio in termini esperienziali. Troviamo consigliabile anche la possibilità di monitorare e poi descrivere il processo personale che avviene con la partecipazione ad un percorso con linguaggi alternativi a quello verbale (ad es. figurativo, visivo, artistico), creando un prodotto che sia un’espressione individuale e unica del cambiamento avvertito.

Autoriflessività: il gruppo è un’esperienza sia di autoriflessività che di confronto, che permette di decostruire idee e sviluppare nuove costruzioni più funzionali (Giordano, 2019). Le persone possono rispecchiarsi negli altri membri del gruppo, ravvisare somiglianze e differenze, revisionare le proprie storie sulla base di nuovi elementi emersi.

Socialità: per un costruttivista agire socialità vuol dire “vedere il mondo con gli occhi dell’altro” (Chiari, Nuzzo, 1998), cioè poter applicare le sue costruzioni all’interpretazione degli eventi. Tale capacità è basilare per dei formatori che conducono un gruppo finalizzato al cambiamento, ed è al contempo una delle competenze fondamentali che si cerca di allenare nei partecipanti.

Il punto di partenza per la progettazione del gruppo sarà sempre e in ogni caso, l’analisi della domanda: da chi arriva? Per chi arriva? Come possiamo riformularla insieme per fornire una risposta che sia funzionale alla complessità del sistema di chi richiede la formazione?

Fin dall’inizio, dunque, il formatore costruttivista dovrà mettere in gioco le qualità summenzionate ed impegnarsi attivamente ponendo a verifica le proprie ipotesi e le proprie proposte, ed essendo disponibile a cambiare per adattarsi allo specifico contesto.

Riferimenti bibliografici

  1. Chiari, G., Nuzzo, M.L. (a cura di) (1998). Con gli occhi dell’altro. Il ruolo della comprensione empatica in psicologia e in psicoterapia costruttivista. Padova, Unipress.
  2. Giordano, C. (2019). I gruppi. Differenti modi di dialogare e ascoltare. In: Barbetta P., Telfener U. (2019) Complessità e psicoterapia, l’eredità di Boscolo e Cecchin. Raffaello Cortina: Milano.
  3. Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs. Norton.
  4. Trower, P. (Ed.). (1984). Radical approaches to social skills training. London: Croom Helm.